Il betta splendens domestico a 360° - Premessa e storia

Premessa e Storia

Betta splendens a 360°

Premessa e Storia

Precisazioni

Tengo ad evidenziare che questa guida da me redatta non nasce con lo scopo di interferire con il lavoro altrui, ne tantomeno per dimostrare manie di protagonismo o quant’altro. Questa guida è frutto semplicemente dei miei studi derivanti da più fonti quali libri, riviste, ricerche, confronti con persone esperte nel settore ed interminabili letture su svariati siti web, forum e gruppi dedicati e non.
Assimilati i concetti, ho deciso di prendere tutti i miei appunti, metterli in ordine e formarne una guida dedicata al betta splendens e riservarla, con gratitudine, al portale www.acquariofili.com e all’annessa pagina Facebook, cercando di fornire più possibile e con molto piacere, un contributo sulla divulgazione delle informazioni, a tutti gli utenti che manifestano interesse per questa specie.

Premessa

La decisione di creare una guida specifica e un po’ più approfondita su questo pesce, nasce per la volontà di far conoscere ai lettori le particolarità presenti in quest’ultimo, che abbracciano tutto il ciclo di vita, trattandosi appunto di un pesce le cui caratteristiche sono ben diverse da quelle degli altri.
Ci limiteremo a parlare del betta splendens, al giorno d’oggi molto noto e presente nelle nostre vasche ornamentali, e non di tutte le famiglie, sottofamiglie, specie e sottospecie. La lista è troppo lunga e le caratteristiche sono davvero tantissime e tra le più disparate, ecco perché l’aggettivo “domestico” all’interno del titolo di questo articolo, anche perché il betta attuale è molto diverso da quello scoperto intorno al 1900.
Divideremo questa guida in diversi capitoli che racchiuderanno, in più sezioni, le informazioni principali e fondamentali del pesce in questione.

 

• La storia in breve

 

Il betta splendens domestico a 360° - Premessa e storia
Antico acquario del 1856 (Foto dal web)

Il Betta splendens è comunemente conosciuto con il nome di pesce combattente. Ma perché pesce combattente? Torniamo un po’ indietro nel tempo e scopriamolo insieme.

Non è chiaro quando questo tipo di pesce ha iniziato ad essere allevato ma, da alcuni archivi storici, si può sicuramente parlare della metà del 1800. In questi archivi si parlava di allevamenti di pesci destinati a combattimenti, chiamati dai thailandesi “plakat” ovvero “pesce che morde”.

Rama III, re del Siam in quel periodo, omaggiò un medico dal nome Theodor Cantor, regalandogli dei pesci combattenti che erano in suo possesso. Quest’ultimo ne studiò le caratteristiche e gli diede il nome “Macropoduspugnax”.

Molti anni dopo l’ittiologo Tate Regan riprese lo studio di questi pesci e dedusse che il nome che Cantor gli aveva conferito, apparteneva già ad un’altra specie, pertanto lo sostituì con il nome “Betta Splendens”. Ipoteticamente, la parola Betta venne associata ad una tribù di guerrieri asiatici, mentre la parola “Splendens” venne associata allo splendore del colore e del pinnaggio che alcuni esemplari presentavano già nel periodo di fine ottocento. Da ciò si suppone che le prime forme di selezione erano già state studiate ed avviate in qualche parte del mondo ed i primi esemplari erano arrivati fino in Europa.

L’allevamento originario del Betta non nacque affatto per uso ornamentale, anzi tutt’altro. Lo scopo principale degli allevamenti era quello di far effettuare a questi pesci un vero e proprio combattimento, successivamente finalizzato anche a scommesse pecuniarie. Pertanto si realizzavano allevamenti sempre più mirati a formare pesci più robusti, più forti e con un carattere più aggressivo. I soggetti interessati, quelli più agili perché con le pinne più corte, erano i Plakat, conosciuti già dal 1400.

Questi combattimenti avvenivano inserendo due betta dentro un recipiente dove venivano lasciati a lottare, non fino alla morte, bensì fin quando uno dei due non scappava per rifugiarsi dall’altro. In tal caso, con la fuga di uno dei due pesci, il combattimento era dichiarato concluso e vinceva il betta che era riuscito ad essere dominante.
Come già accennato, gli allevatori, per formare esemplari più mirati ai combattimenti ibridavano i betta in loro possesso con quelli selvatici, dai quali alcune volte nascevano esemplari affascinanti con pinnaggio più lungo e colori particolari.

Iniziano così a vedersi in giro i Plakatcheen, provenienti dalla Cina, perché le ibridazioni di cui abbiamo parlato prima, furono gli embrioni dei primi betta a scopo ornamentale. Da li a poco, in occidente iniziarono a nascere e divulgarsi i betta a pinne lunghe che diventarono i pesci più ambiti dagli acquariofili.
Anche se i combattimenti tra i betta continuavano ad esserci, e purtroppo ancora oggi qualcuno in Thailandia lo fa, questi ultimi andavano a scemare. Infatti, pian piano si ridussero gli allevamenti per i combattimenti ed aumentarono quelli per le selezioni.

Già da tempo, negli Stati Uniti, erano stati avviati questi allevamenti per creare selezioni di pinnaggio e colori in soggetti che sarebbero finiti successivamente per lo scopo commerciale e ornamentale, quindi venduti per essere allevati dentro gli acquari di casa.
Verso la metà del 1900, negli Stati Uniti nasce un esemplare dalla pinna caudale lunga e a velo, il betta Veiltail, che ancora oggi è tra i betta commerciali più diffuso, venduto e conosciuto al mondo.
Naturalmente le selezioni non finiscono con il betta Veiltail, un decennio dopo nasce il betta Double Tail (doppia coda) e il betta Delta Tail (con la pinna caudale triangolare e simmetrica).

L’impegno è tanto e ora gli allevatori entrano in competizione, non più per selezionare betta per i combattimenti ma per ben altro. Le selezioni vanno avanti sempre più decise e mirate ad ottenere esemplari unici, appunto “splendidi”, per poter addirittura partecipare a gare e concorsi di bellezza.

Tra gli anni ’70 e ’80 fu la volta del betta Roundtail (coda rotonda), nacquero così i primi Betta Show.
Successivamente tra i primi anni ’90 gli allevatori riuscirono a selezionare betta con apertura di pinne caudali fino a 180° che identificarono come betta Halfmoon, mentre alla fine di quel decennio le selezioni portarono come frutto un altro esemplare molto particolare, il betta Crowntail caratteristico di una pinna caudale la cui membrana è più piccola dei raggi così da sembrare una corona.
Nello stesso periodo della nascita dei betta Crowntail, torna di moda l’originario betta Plakat dal quale, oserei dire, tutto è iniziato. Naturalmente anche su questa specie gli allevatori sperimentarono nuove selezioni facendo venire alla luce il betta “Halfmoon Plakat”.

Recentemente invece, da diverse ibridazioni tra i betta di allevamento e selvatici, nella Patria originaria, ovvero in Thailandia, si da vita ad un ulteriore betta monocolore metallico, il betta “Dragon”.
L’ultima caratteristica che gli allevatori sono riusciti a sviluppare nei betta e che pian piano ha preso piede, è la dimensione gigante degli esemplari, i cosiddetti betta Giant, dalla taglia nettamente più grande dei normali betta, infatti la misura minima si aggira intorno ai 7/8cm, fino ad arrivare a circa 14/15cm.

 

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E’ vietato copiare anche parzialmente questo articolo e relative immagini senza l’autorizzazione dell’autore e dello staff di acquariofili.

 

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Infuso di foglie e pignette

Infuso di foglie e pignette

 

Infuso di foglie e pignette.

In questa breve guida vedremo come fare un buon infuso a base di tannini per la nostra vasca.

Che cos’è l’infusione?
L’infusione non è altro che un metodo utilizzato per estrarre i principi attivi da piante officinali o da alimenti e si realizza immergendo tali piante o alimenti in un liquido per un tempo più o meno lungo. Il prodotto che si ricava viene chiamato infuso.

La presente guida tratterà di un infuso di foglie di castagno e pignette di ontano.

In realtà l’infuso di tannini lo si può ricavare da svariate foglie essiccate, per questo si rimanda alla guida Le foglie in acquario, presente sempre sul nostro sito per scoprirne altre.

Anche se non riportate nell’articolo menzionato pocanzi, le foglie di castagno, sono una buona alternativa ad altre foglie per essere inserite in vasca, poichè favoriscono anch’esse un soddisfacente rilascio di tannini.

Viene descritta questa tecnica di infusione con il connubio di foglie di castagno e pignette di ontano poiché al momento vi erano questi elementi a mia disposizione e altresì facilmente reperibili in natura tra boschetti e campagne.

Per avere un risultato ottimale sull’ambratura dell’acqua ho utilizzato 20 foglie medie di castagno e 12 pignette di ontano (tutto rigorosamente secco, naturalmente).

Andiamo adesso ad argomentare il procedimento.

Infuso di foglie e pignette

Sciacquiamo sotto l’acqua corrente le 20 foglie di castagno e le 12 pignette di ontano e riponiamole dentro una vecchia pentola e successivamente versiamo dentro 4 litri di acqua d’osmosi inversa.

 

Accendiamo il gas e lasciamo a fuoco lento e senza coperchio fino all’evaporazione di 2 litri di acqua, controllando di tanto in tanto lo sviluppo e affondando dentro l’infuso le foglie e le pignette che tenderanno a stare a galla per non farle asciugare. Per questo processo ci vorrà circa un’ora e mezza di tempo.

Una volta evaporati i 2 litri d’acqua, rimuoviamo la pentola dal fuoco e lasciamo riposare l’infuso senza coprire con il coperchio, fino a quando non si sarà completamente raffreddato e divenuto a temperatura ambiente (fatto nel pomeriggio, l’ho lasciato riposare per tutta la notte).

Infuso di foglie e pignette

Dopo essersi accertati che l’infuso è completamente freddo, iniziamo a rimuovere le foglie e le pignette. Prendiamo una bottiglia da due litri (quelle della Coca Cola o della Pepsi dopo averle accuratamente sciacquate vanno benissimo), un imbuto e un colino a maglie strette e iniziamo a versare filtrando l’infuso per rimuovere i residui staccatisi.

Otterremo pertanto il seguente risultato che ci basterà per diverso tempo.

Infuso di foglie e pignette

Per quanto riguarda la somministrazione, bisogna fare attenzione e tenere in considerazione i propri valori di PH e KH già presenti in vasca e versare l’infuso con parsimonia, effettuando i test (rigorosamente a reagente per ottenere dei risultati ottimali) prima e dopo la somministrazione, fino a trovare la giusta quantità da utilizzare e senza creare squilibri in vasca, che andrebbero a compromettere la salute degli inquilini. Tutto ciò perchè l’infuso di foglie e pignette è un sistema naturale molto lento che abbassa il PH.

A seguito della procedura vista precedentemente, ho voluto effettuare un personale esperimento che non reputo necessario da fare, tantomeno lo reputo da consigliare, quindi è da ritenersi del tutto di libero arbitrio ma, in ogni caso, l’ho voluto condividere perchè, contrariamente, potrebbe esserci qualche utente interessato.

Dopo aver rimosso le foglie e le pignette, invece di cestinarle, inseriamole in un altro contenitore con altri due litri d’acqua d’osmosi inversa, e senza fare alcunchè chiudiamolo e riponiamolo in un luogo a nostro piacimento. Noteremo che, come illustrato nella foto che segue, nonostante le foglie e le pignette siano esauste a causa della bollitura precedente, dopo circa una settimana rilasceranno ancora dei tannini e otterremo altri due litri di infuso molto più blando ma sempre utile.

Infuso di foglie e pignete

Sperando che la guida possa essere di aiuto e di gradimento si augura un buon esperimento a tutti.

 

ATTENZIONE: 

Lo staff di acquariofili.com e l’autore dell’articolo non si ritengono responsabili dell’uso inappropriato delle suddette soluzioni ottenute dall’infusione.

 

E’ vietato copiare anche parzialmente questo articolo e relative immagini senza l’autorizzazione dello staff di acquariofili e dell’autore.

 

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Riparo con noce di cocco

Riparo con noce di cocco

 

[dropcap]I[/dropcap]n questa guida verrà descritta, con qualche foto di alcuni passaggi, la tecnica studiata e messa in pratica dalla nostra amica Sonia Camilletti, per ottenere una tana o riparo con noce di cocco per pesci.

Sperando sia utile, si augura una buona lettura!

Per prima cosa munitevi di :

  • seghetto con denti fini (per intenderci quello che si usa per tagliare il ferro),
  • un martello con una estremità più stretta come quello in foto,
  • un cacciavite abbastanza grande con punta a “taglio” ed una spazzola di ferro

Riparo con noce di cocco

La realizzazione di un riparo con noce di cocco è un lavoro che va eseguito senza fretta e con molta pazienza poiché in questo modo riuscirete ad ottenere un risultato perfetto.

Posizionate la noce su un punto rigido ed iniziate a picchiare con la parte stretta del martello lungo una linea (volendo potete prima tracciarla con una matita) come se voleste spaccarla a metà nel mezzo.

[pullquote-right]Lungo tutta la circonferenza picchiate con colpi non troppo forti, ma decisi, questo passaggio serve per preparare ed indebolire la parte del cocco che volete che si rompa a cerchio perfetto.[/pullquote-right]

 

Poi prendete il seghetto e fate una linea di incisione lungo tutta la circonferenza sullo stesso punto in cui avete precedentemente battuto con il martello (bastano appena 2 millimetri di profondità, giusto che si veda un solco di riferimento).

Riparo con noce di cocco

Una volta terminata l’incisione, prendete il cacciavite a taglio, inseritelo in un punto a caso di questa incisione e date un colpo secco e deciso sopra con il martello. La noce di cocco si spaccherà seguendo la linea da voi precedentemente incisa con il seghetto e a quel punto non vi rimarrà che ripulire accuratamente le due parti dalla polpa staccandola pian piano con la punta di un coltello.

Riparo con noce di cocco

Spazzolate la parte esterna del cocco fino ad ottenere il legno ripulito e fatelo bollire per circa mezz’ora come si fa con qualsiasi legno prima di inserirlo in acquario.

Riparo con noce di cocco

 

 

La “porta” di ingresso la si può creare utilizzando un Dremel con le apposite punte-fresa.

 

 

 

Disegnate l’apertura a mano e iniziate a lavorarla con la punta specifica fino a staccare la parte superflua, e levigate i bordi con la punta carteggiatrice. Inoltre potrete creare sulla parte superiore o sul retro un altro piccolo foro per permettere il ricircolo dell’acqua all’interno della tana senza farla stagnare dentro.

A questo punto potete decidere se ricoprirlo incollando piccoli pezzetti di muschio che pian piano ricopriranno l’intera superficie, oppure piante epifite o semplicemente lasciarlo naturale.

Questo riparo o tana come la si vuole chiamare sicuramente sarà molto gradita dai nostri pinnuti non solo per ripararsi causa timidezza ma anche per nascondersi lontano da predatori ,inoltre son sicuro che la maggior parte utilizzerà questo rifugio per le loro riproduzioni visto che le uova saranno riparate dalla corrente ,dai predatori e facilmente controllabili .Mi riferisco ai locaridi e piccoli ciclidi.

Riparo con noce di cocco

I vostri pesci gradiranno sicuramente la loro nuova tana!.

 

Si ringrazia Sonia Camilletti per la cortese collaborazione nella stesura della descrizione e per aver concesso l’utilizzo delle foto

 

E’ vietato copiare anche parzialmente questo articolo e relative immagini senza l’autorizzazione dello staff di acquariofili e del proprietario.

 

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Trichopsis Vittata

Trichopsis Vittata

Trichopsis Vittata

Ordine: Anabantidi

Famiglia: Osphronemidae

Dimensioni: 6-7 cm

Distribuzione: Asia, Indocina, bacino inferiore del Mekong (Laos, Cambogia Vietnam, Singapore, Thailandia meridionale)

 

Aspetto:Sono caratterizzati da una colorazione del corpo tendente al grigio con riflessi azzurrini, con la presenza di una macchia nera alla base delle pinne pettorali.

Sono presenti  3 bande laterali più scure, numero più elevato rispetto agli altri Trichopsis (anche se esemplari wild possono presentare livree piuttosto varia).

Le pinne presentano una conformazione differente rispetto agli altri appartenenti della famiglia, con alcuni raggi prolungati nella pinna anale (fino a sembrare filamenti).

Le femmine presentano dimensioni minori rispetto ai maschi, oltre a una differente estensione più piccola dei raggi delle pinne.

È possibile sessare gli esemplari adulti in modo piuttosto semplice, in quanto le ovaie nelle femmine sono ben visibili al di sotto della vescica natatoria.

 

Caratteristiche acquario: Questa specie può essere allevata in coppie o piccoli gruppi, ma la vasca deve avere dimensioni minime 60×30 cm per una coppia ,presentano una certa aggressività specialmentedurante i periodi riproduttivi.

L’allestimento deve essere fittamente piantumato, con nascondigli e ricco di barriere visive e ricco di zone ombreggiate create con galleggianti.

A causa della scarsa illuminazione si possono utilizzare piante come Cryptocorine, piante epifite come Microsorium, muschi di vario tipo (come ad esempio il taxiphillum barbieri) e galleggianti.

È da preferirsi un fondo caratterizzato da colori naturali e scuri; è consigliabile anche aggiungere delle foglie di quercia o catappa per ambrare l’acqua e fornire una fonte di cibo secondaria (grazie alla formazione di microfilm).

La corrente creata dal filtro deve essere scarsa, in quanto prediligono acque poco.

La vasca deve essere provvista di coperchio dato che sono ottimi saldatori e, come per tutti gli anabantidi, per mantenere uno strato di aria umida e calda (riduce la possibilità di infiammazione al labirinto).

Valori per allevamento:

  • Temperatura: 22-28 °C
  • pH: 6 – 6.8
  • KH: 3 – 5
  • GH: 8 – 12
  • NO2: assenti

 

Numero di esemplari: Monospecifico con coppie o piccoli gruppi

Alimentazione: : Trichopsis Vittata accettano cibo granulare, ma gradiscono molto sia cibo vivo di piccole dimensioni (essendo micropredatori), sia congelato come daphnie, artemie e chironomus.

Riproduzione: è una specie ovivipara.

Il maschio procede alla formazione del nido di bolle in superficie.

Dopo la deposizione gli adulti possono essere lasciati all’interno della vasca,

solo il maschio che svolge le cure parentali (controllo del nido e cura delle uova e degli avannotti, fino a che non iniziano a nuotare in autonomia).

Le uova si schiudono in 24-48h, ma gli avannotti rimangono nel nido fino al completo assorbimento del sacco vitellino.

Successivamente gli avannotti devono essere alimentati con cibo di piccole dimensioni, come infusori e successivamente con napuli di artemia.

Adattabilità in acquario 90%
Difficoltà di allevamento 30%
Riproduzione in acquario 50%
Trichopsis schalleri

Trichopsis schalleri

Trichopsis schalleri

Ordine: Anabantidi

Famiglia: Osphronemidae

Dimensioni: 4-5 cm

Distribuzione: Asia, bacino del Mekong, Laos, Cambogia e Vietnam

 

Aspetto: Sono caratterizzati da una colorazione del corpo biancastra, con la presenza di una striscia scura sul corpo.

Al di sopra possiamo trovare una seconda striscia più chiara, che risulta più o meno visibile in base all’umore/stress del pesce; questo tratto differisce dalla livrea del Trichopsis pumila, in quanto in quest’ultimo la strisci non risulta continua, ma composto da macchiette sempre presenti.

Le pinne presentano una colorazione tendente al ramato, con presenza di zone azzurrine.

Le femmine presentano dimensioni minori rispetto ai maschi, oltre a una differente estensione [più piccole] dei raggi delle pinne.

È possibile sessare gli esemplari adulti in modo piuttosto semplice, in quanto le ovaie nelle femmine sono ben visibili al di sotto della vescica natatoria.

 

Caratteristiche acquario: In genere si tende ad allevare questa specie in coppie o piccoli gruppi di 3-4 esemplari in una vasca con dimensioni minime 60×30 cm (presentano una certa aggressività durante i periodi riproduttivi), meglio evitare le vasche cubiche.

È da preferire una vasca monospecifica per poter osservare i comportamenti caratteristici o in compagnia di pesci pacifici.

L’allestimento deve essere fittamente piantumato, con nascondigli e ricco di barriere visive e ricco di zone ombreggiate create con galleggianti.

A causa della scarsa illuminazione si possono utilizzare piante come Cryptocorine, piante epifite come Microsorium, muschi di vario tipo (come ad esempio il taxiphillum barbieri) e galleggianti. È da preferirsi un fondo caratterizzato da colori naturali e scuri; è consigliabile anche aggiungere delle foglie di quercia o catappa per ambrare l’acqua e fornire una fonte di cibo secondaria (grazie alla formazione di microfilm).

La corrente creata dal filtro deve essere scarsa, in quanto prediligono acque poco. La vasca deve essere provvista di coperchio dato che sono ottimi saldatori e, come per tutti gli anabantidi, per mantenere uno strato di aria umida e calda [riduce la possibilità di infiammazione al labirinto].

Valori per allevamento:

  • Temperatura: 22-28 °C
  • pH: 6 – 6.8
  • KH: 3 – 5
  • GH: 8 – 12
  • NO2: assenti

 

Numero di esemplari: Monospecifico con coppie/trii

Alimentazione: : accettano cibo granulare, ma gradiscono molto sia cibo vivo di piccole dimensioni (essendo micropredatori), sia congelato come daphnie, artemie e chironomus.

Riproduzione: è una specie ovivipara.

Il maschio procede alla formazione del nido di bolle che a differenza degli altri anabantidi in genere il nido viene costruito sotto le foglie/in nascondigli, non in superficie).

Dopo la deposizione gli adulti possono essere lasciati all’interno della vasca, ma è solo il maschio che svolge le cure parentali (controllo del nido e cura delle uova e degli avannotti, fino a che non iniziano a nuotare in autonomia).

Le uova si schiudono in 24-48h, ma gli avannotti rimangono nel nido fino al completo assorbimento del sacco vitellino.

Successivamente gli avannotti devono essere alimentati con cibo di piccole dimensioni, come infusori e successivamente con napuli di artemia.

Curiosità:  Trichopsis schalleri è l’unica della sua famiglia a produrre suoni udibili, differenti in base al tipo di interazione tra gli esemplari

Adattabilità in acquario 90%
Difficoltà di allevamento 30%
Riproduzione in acquario 50%